2_parti presunzione, pretestuosità, predominanza – pre-giudizio preterintenzionale (2018)

Progressive, Elettronico, Alternativo

Recensione 04/06/2019 di Mattia Nesto su Rockit.it

“E il naufragar m’è dolce in questo mare”. Il verso lo conoscete tutti ed è un bel modo per introdurre questo, vulcanico, “2_parti: presunzione pretestuosità predominanza – pre-giudizio preterintenzionale” di Francesco Malaguti, un lavoro talmente ricco di suggestioni, stili e, soprattutto, parole e sonorità da mettere in seria crisi il recensore, figurarsi l’ascoltatore. Già perché se vi piacciono gli album “apri e gusta” e quelli di semplice fruizione, certamente il disco dell’artista bolognese non è “pane per i vostri denti”. Eppure se vi piace perdervi nei lavori altrui, con il rischio di smarrire per sempre il bandolo della matassa, allora Malaguti sarà il più perfetto dei Virgilio possibili. Già perché in pezzi come “Stalker o camminatore circospetto: altri tempi? Democrazia spa, ragioni di religioni regionali che non vanno veloci, le frecce sganciano bombe ad alta” (sì, esatto, questo è il titolo della canzone nella sua interezza) le citazioni di film si innestano, perfettamente, su un sottofondo (che ben presto diventa primo piano assoluto) formato da una dance psichdelica e lisergica, quasi minimale in alcuni punti, sicuramente sempre eccessiva e tonitruante. Esatto: tonitruante è l’aggettivo migliore che possiamo usare per un lavoro che tracima da ogni lato, che non si può rinchiudere entro i classici paletti di genere, stile e rimandi. E forse, anzi certamente, Francesco Malaguti voleva proprio questo: non essere prigioniero di qualche classificazione ma essere libero anche di non piacere.


Descrizione

È un lavoro complesso del tutto auto-prodotto, è qualcosa di molto eterogeneo, sono 37 tracce più 13 “bonus”, suddiviso in “Parti” appunto.

Non è propriamente “easy-listening”, è qualcosa di più o qualcosa di meno, su CDBaby l’ho etichettato come genere come “Avant-garde – computer music”, è un concept album critico verso la pretestuosità e la pretenziosità, usando come mezzo proprio queste ultime due, da lì la lunghezza dei titoli e dell’intero album e quella copertina, con il classico (classici) gatto (gatti) di schrödinger, il cui nome è, di nuovo, “Parti”.

È inoltre – come da titolo – contro ogni forma di predominanza e prepotenza, contro ogni pregiudizio (razzismo od aporofobia compresa, seppur la parola “pre-giudizio” non andrebbe confusa con il più becero “giudizio”).

Ha, per l’appunto, varie “dediche”, così come si trovano nelle tracce “Mediterraneo” o l’omaggio ad Elio Petri ed in generale ai quasi attuali anni ’70, quantomeno per “La proprietà non è più un furto”.

Del resto, per quanto siano esplicativi – o confusi i titoli, alla fine è chiaramente la musica a parlare (tra le tracce bonus ve n’è una polemica riguardo il concettualismo “glitch” ed è quindi una traccia glitch). 

Le tracce industrial in clip? Gli attacchi di panico vanno ben oltre gli zero dB, non hanno remore nel mandare l’organica macchina umana in tilt, così i terremoti, le fabbriche assordanti e neppure la discriminazione: se un individuo crede di star bene e perché accada deve “lavorare su se stesso ogni giorno” no, non sta bene.

È l’estetica del rumore, non certo quella borghese del silenzio, altrimenti avrei fatto cinque ore di silenzio, e non mi riferisco – se non parzialmente – a John Cage od all’ipocrisia di un Eco o di un altro Moravia ed all’intrinseca disonestà (intellettuale, perché erano intellettuali, no?), bensì al malessere della prepotenza, di chi “troppo umano”, scimmiescamente, insegue le leggi del potere, della nullità cristiana, con tutta la cattolica prepotente passione ecclesiastica e l’incuria disumana nei riguardi della conseguente sofferenza, a sua volta elitaria.

Dove il debole incontra il silenzio, il debole trova l’inganno, perde il respiro, consumato dal fiato di sacerdoti del consumo, di profeti del culto della conservazione, fanatici del disprezzo verso anima ed amore, amanti dell’anima del dolore, in dipinti senza colore, dove il grigio è vita e si inverte in polarità inconsistenti e preconfezionate, predette come la morte del polo celeste e della vita del polo depresso: Zenit e Nadir non s’incontreranno e d’amore non vivranno, in-finiti eppure considerati eterni.

Il paradosso di un solo fenomeno, o meglio, di un epifenomeno lo zero e l’infinito, l’assenza o il vuoto e l’eternità, paternità di “cosa fisica” e maternità di “cosa pensante”, patria dell’inesistenza, l’alterità di Due Parti.