Parti – 2015
Lo-Fi, Elettronico, Ambient
MANIFESTO
“Parti”, come spiega il titolo stesso nella sua più immediata accezione, quella di porzione et similia, nonostante
porti comunque in sé la pretesa di narrare l’ambiguità con cui è stato partorito (vedasi il prosieguo), intende offrire un’ esperienza, musicale, di quello che è il rapporto dell’individuo in tensione con la realtà rappresentante, con la circostanza esistenziale.
Quindi, vista la premessa, ho identificato tre fasi costituenti lungo il percorso sopra indicato, più un’introduzione- introduzione alla vita, ed una chiosa, chiosa all’essere.
Importante è chiarire in premessa un accorgimento, per chiarezza (ma lode al vostro errore):
L’opera tratta del rapporto dell’essere vivente uomo sia in contesto sociale, in (dis)accordo con la propria specie, sia del suo contatto con l’essere immanente della realtà circostanziale.
Esse sono:
1. Beta o Introduzione
2. Interno (o Inside)
3. Sul bordo (o Borderline)
4. Esterno (o Outside)
5. Chiosa (o il tempo, la vita, e tutto il resto)*
(I titoli delle ultime tracce sono i versi che compongono la poesia staccata del titolo della chiosa)
1. Introduzione
-L’attesa
Di facile supposizione, la primissima parte del disco intende introdurre l’ascoltatore all’esperienza degli arbori di una nascita, seppur non la nascita del corpo e dell’individuo dal parto fisico, piuttosto descrive la creazione delle aspettative generanti la prima vera intercapedine del costrutto futuro dopo le tappe di genesi (dal seme al feto fino al- primo parto ed all’allattamento): lo svezzamento.
-Cos’è lo svezzamento
“Lo svezzamento è un momento altamente significativo: ci viene insegnato come mangiare e nutrirci da soli. È probabile che l’interruzione traumatica dell’allattamento al seno imprima molto fortemente, nelle nostre menti giovani e impressionabili, i cibi che ci vengono dati in sostituzione. Perdiamo il calore e l’intimità dell’allattamento al seno e cominciamo a essere nutriti con gli stessi alimenti che i nostri genitori mangiano. (Will Tuttle)”
Ora, probabilmente basterebbe questa inequivocabile citazione prosatrice di un’assodata verità allo scopo di sottolineare l’importanza dello svezzamento tra tutti gli eventi creativi antropocentrici, ma non ne sono sicuro. Ho un dubbio: Cos’è lo svezzamento? È il primo tentativo di fuga dai vincoli finora pervenuti? È il tentativo di tendere le mani verso la libertà, verso il proprio arbitrio? Svincolarsi da un rapporto bilaterale per entrare, con le mani, nei pantaloni degli altri, gli stessi che tessono la camicia di tela (di ragni) in cui chiunque a sua volta infilerà le proprie gambe, dando forma ad un mostro senza confrontabili, l’uomo svezzato: un vezzo, ecco cos’è lo svezzamento.
Non che la precedente fase, l’allattamento sia sofisticatamente allettante, tutt’altro.
Piuttosto indigeribile è la fase successiva, la prima nelle vesti di ragnatela del ghiotto ed insaziabile mostro insalubre costituitosi dopo lo svezzamento; lo chiamerò “Il Ragno”, a ri-partire dall’interno: Sesso e cibo, a prima vista.
2. Interno
-Sesso e cibo, a prima vista o Il narcisismo
“… l’identificazione è la fase preliminare della scelta oggettuale, e che essa è il primo modo, peraltro ambivalente nella sua espressione, con cui l’Io evidenzia un oggetto. L’Io vorrebbe incorporare in sé tale oggetto e, data la fase orale o cannibalesca della propria evoluzione libidica, vorrebbe incorporarlo divorandolo. […] La disposizione (o parte di essa) ad ammalarsi di melanconia dipende dalla preponderanza del tipo narcisistico di scelta oggettuale – […] Se ci fosse lecito supporre una concordanza dell’osservazione con le nostre deduzioni, non esiteremmo a includere, nella nostra caratterizzazione della melanconia, la regressione dall’investimento oggettuale alla fase orale della libido (fase che appartiene ancora al narcisismo).” (S.Freud)
“L’uomo è un animale carnivoro” (Insegna in negozio nel film “La proprietà non è più un furto”)”.
Come possono esser concernenti queste due citazioni sopra? Il primo modo che mi vien in mente per poterlo spiegare, è reiterare con le citazioni, in modo particolare re-citando una frase presente nel film preso in causa: “La proprietà non è più un furto ma… una malattia!”; ecco ora come smettere di secernere conseguenze politiche, sociali, da cause psicopatologiche, di compensazione della malattia. In verità qui viene a mancare l’aspetto della malinconia, la quale potrà trovare adito più avanti, grazie innanzitutto alle basi fissatesi in questa fase: il narcisismo innato.
Potrei pure riflettere in merito sull’indissolubilità della malattia mentale con l’attività del civile viver insano dell’uomo, ma “no, non ora, non qui in questa pingue immane frana”.
Sappiamo che secondo le teorie della psicanalisi la fase orale del bambino avvenga pressappoco durante l’allattamento; in realtà, ritengo questa una fase molto importante rispetto allo svezzamento: è il momento del chiodo, su cui il martello de Il Ragno batterà per il corso dell’agonia.
È il radicamento del vero cannibalismo, parafrasando Freud: il narcisismo. La persona è estranea, la persona è oggetto utile ai miei scopi, l’oggetto è inutile alla persona che sono, il mio scopo. In effetti credo che le parole non bastino a definire prova di narcisismo (ah, a cosa posson servire le parole, se non ad illuder loro stesse d’essere utili?), ma tant’è. In effetti questa non è la premessa, ma una tentata spiegazione all’esperienza di “Parti”. Ed è proprio in merito che invano chioso, per il narcisismo. Immaginate di giocare ad un videogioco diversamente difficile, in cui ciascun personaggio è il prodotto di un’intelligenza artificiale. Giocare vi provoca, per assurdo, un gran mal di denti, un male dei peggiori; il narcisista, di stato avanzato o di secondo tipo, patisce, e vive. Il narcisista, di secondo tipo, è regredito al momento dell’innocenza, ovvero quando la vita, la volontà, l’essere, e l’avere etc… eran determinate dal conflitto generativo delle feci del ritentivo o dell’espulsivo, ovvero prima che conoscesse un’altra vita.
P.S.
Avrei potuto, volentieri, citare un film, “La Grande Abbuffata”. Ma mi sembra più idoneo farlo più avanti, dall’esterno, dedicato ai suicidi, ma non solo. Intanto mi limito a introdurre l’argomento, coerentemente con l’esperienza del brano, con chiaro riferimento all’ultima fase prima della stasi o fase latente, la fase fallica: “
“Ho pensato a un menù incredibile: il Menù del Cazzo.” (Ugo)
Un’altra vita –
Dell’amore e delle guerre
Il disagio del quieto vivere non è sommabile all’angoscia del sopravvivere quotidiano; (pausa)…
Tu!
Son qui… non ti conosco, eppur che piacere ritrovarti.
Ah, come riesci ad essere preda, mio simile, nella tua tela così simile alla mia?
La tela tua è tela mia, mio simile, come riesci ad essere preda, nella tua tela, alla mia così simile.
Vestiti!
Vestimi.
Tendiamo finalmente così le mani verso la libertà, e che sia tu i rami dopo le radici.
Che sia lodato chi sarà vestito del velluto della libertà!
Che sia denudato, l’ingannato vestito di morte e travestito delle nostre tele!
Oh, simili, come riusciamo ad essere prede, nelle nostre tele così simili a se stesse?
Primo Contatto
Realtà…
Primo Impatto
Realtà?
Impatto
Realtà!
Dall’Interno
Realtà.
3. Sul Bordo
Diario Dall’Interno E primo Tentativo di Fuoriuscita
Realtà…!
Secondo Tentativo di Fuoriuscita, A Buon Fine
Realtà…?
4. Esterno
Dall’Esterno
Diario dall’Esterno, ai Suicidi
5. Chiosa:
“Vita, ed Io da Umano Rifletto E Contemplo, Rispecchio e Consento”
Dai sinestetici odori della noia, tra psicofarmaci, alcolici e patteggiamenti sociali
Gli Anni Passano, i Mesi Osservano;
i Giorni Trascorrono, le Ore Attendono;
I Minuti si Beffano, i Secondi s’Indispongono.
Tutto il Resto
Muore.”
Un climax, diciamo un climax serendipico, poiché a discrezione dell’anima o dell’umore dell’animo di chi legge può essere ascendente oppure discendente. Il tempo stringe se letto con ordine è vero, ma si conclude con l’epopea di “tutto il resto”. Oltre i secondi non riusciamo noi umani a contare indicativamente il tempo, eppure questo scorre, per un presente infinito o probabilmente eterno. Ma il climax diviene ascendente da un punto di vista, appunto, qualitativo, dove si arriva alla vera percezione dello scorrere del tempo, figurata con il secondo che s’indispone in attesa del successivo e così muore coi suoi avi, i secondi precedenti. Ma, ancora più interessante, il climax viene in qualche modo annullato; non siamo configurati in natura per contare gli anni e neanche i mesi, i giorni con le loro 24 ore ciascuno, le ore dei sessanta minuti a loro volta dei sessanta secondi; il tempo è ontologicamente morto. Dall’inizio alla fine. Ed in mezzo v’è la coscienza della morte. Noi viviamo costantemente la morte. Così che la retta – tautologicamente eterna- o la semiretta – tautologicamente infinita divengono un semplice segmento. Così il climax muore. E con questo tutto il resto.
Invito a leggere un breve romanzo, l’ho trovato un grande capolavoro
“L’occhio del purgatorio”, di Jacques Spitz”. Credo abbia scritto solo questo, ed è sufficiente. Quest’ultimo è più preciso, ma riguardo la stessa “tematica” L’Ubik va bene.