Recensioni
FRANCESCO MALAGUTI – THE HEDGEHOG DILEMMA (autoprod., 2021)
progressive electronic
“The Hedgehog Dilemma”, seguito di “Faust Und Netflix” (2020), comincia con un paio di numeri di routine synth-pop e synthwave. Quindi viene però la sostanza. “I’m Dead Alive” è un crescendo digitale che segue un’armonia paradisiaca sospinta con tenace insistenza, non dissimile dall’eterna mestizia di certi cantici ambient di Sam Rosenthal (anche se verso la fine stroppia in arrangiamento). Più amatoriale suona la sensuale passerella di gemiti su calligrafia M83 di “Toxic Affection”, ma la sua “Reprise” insieme la estremizza e ingentilisce su un bordone d’organo. “In A Little Place” sembra un appassimento di un pezzo smooth-soul orchestrale di Barry White (peccato per la seconda parte convenzionale). “I’m Not A Machine”, 11 minuti, è il pezzo forte che riprende “I’m Dead Alive” in maniera anche più eterea, deliziosamente impalpabile (droni d’organo, contrappunto elettronico, basso fusion), a trasformarsi poi in un pezzo da camera, con una spina dorsale che fa anche da spina nel fianco, un monologo parlato lungo quanto il brano. “The Dopamine Dilemma” non è una gran chiusa. Il bolognese Francesco Malaguti sforna un altro concept ambizioso, di nuovo ambiziosamente calato nell’era contemporanea: il “dilemma dei porcospini” di Schopenhauer e la psicologia delle masse ritradotti dalla pandemia, dal metaverso, da Elon Musk (parlotta in “I’m Not A Machine” ma in bonus giustamente c’è anche la sua versione solo strumentale). Musicalmente parlando si accontenta di meno, di un pastiche di suono un po’ (troppo) casual tra il futuristico e il vintage che vanta grazia ed efficacia, tralasciando le pecche (Michele Saran, 6/10)
Rockit.it
Rockit.it – (Sperimentale, Rock, Elettronica)
27/12/2021 – 12:09
Scritto da Sergio Sciambra – Francesco Malaguti – Etichetta – Parti Records
Malaguti si destreggia tra elettropop e approcci sperimentali nel suo nuovo lavoro autoprodotto
Francesco Malaguti è un artista giovane che è stato un artista precoce, una formazione nel progressive rock, un approccio successivo alle produzioni elettroniche e diversi lavori pubblicati negli ultimi 5 anni. Questo ‘The Hedgehog Dilemma’ è un ritorno all’ autoproduzione indipendente dopo una serie di collaborazioni con etichette, un lavoro composto e realizzato in solitaria che necessariamente pende con decisione verso una dimensione digitale, senza rinunciare a inglobare influenze e approcci pregressi. C’è una presenza caratterizzante di synthwave e pop elettronico che guarda agli anni ‘80, con una presenza importante della voce tra effettistica varie e parti recitate, che serve a raccontare il concept intimista di questo dilemma del porcospino. Un filo conduttore che giustifica la pervasività di quella elettro-malinconia molto Daft Punk che attraversa molte delle canzoni, restituendo quel contrasto tra la dimensione fredda e digitale e la condizione di “umani, dopo tutto” che ha reso famoso il duo francese e altri protagonisti di quel suono, in primo luogo gli Air, che pure risuonano spesso nell’affresco digitale/analogico di Malaguti (Save me To The Moon). Ad agitare quest’anima pop c’è una tensione verso strutture e sonorità più complesse che interviene sia a portare il discorso verso territori più vicini all’elettronica contemporanea che ad inglobare chitarre suonate, timpani, performance vocali, in una visione complessiva che contrasta piacevolmente con alcuni tratti sonori distintivi che sono più vicini all’estetica sperimentale. Succede soprattutto in una seconda parte del lavoro in cui, però, parecchi spunti interessanti risentono di una certa prolissità che porta forme e strutture a ripetersi oscillando su variazioni di dinamica, ma senza prendere veramente una direzione netta (l’imponente I’m Not a Machine). Il rischio è che diventi più difficile del dovuto approcciarsi ad un album che, invece, giocando tra autotune, progressioni a base di chitarre e synth ipersaturi, riesce a stare in equilibrio sul filo del rasoio tra l’elettropop retromaniaco, le tensioni più contemporanee tra pop ed elettronica e il rock alternativo contaminato degli ultimi vent’anni (vedi alla voce Radiohead), in una maniera tutto sommato credibile e molto convincente per una produzione casalinga.Francesco MalagutiThe Hedgehog DilemmaSperimentale, Rock, Elettronica00:00TRACKLIST
- 1. When it’s Cold
- 2. Save me to the Moon
- 3. I’m Dead Alive
- 4. Toxic Affection
- 5. Toxic Affection (Reprise)
- 6. In a Little Place
- 7. I’m Not a Machine?
- 8. The Dopamine Dilemma
- 9. I’m Not a Machine? (Instrumental – BONUS)
Descrizione
Anzitutto una premessa: questo è il primo disco D.I.Y dopo un periodo con labels e collaborazioni professionali.
Ho voluto riprendermi la mia totale libertà artistica.
Probabilmente, il risultato è questo: “The Hedgehog Dilemma”.
[La copertina è una vecchia foto dei miei nonni paterni insieme a mio padre dei primi anni ’60. Andrebbe analizzata da un punto di vista estetico e si può notare di come la composizione sia perfetta e come non vi sia alcun contatto fisico se non tra i colori).
Perché in inglese? Per varie motivazioni. Il pubblico, anzitutto (dopo specifico meglio, preciso ora che non è per una motivazione commerciale). Inoltre, per l’argomento trattato, probabilmente più adeguato in tedesco, ma sarebbe stato impossibile scriverlo.
L’argomento trattato? “Il Dilemma del Porcospino” di A. Schopenhauer, ripreso a più misure dalle più variegate discipline (in particolare da Freud nella psicoanalisi e in generale nella psicologia sociale).
«Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.
Così il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l’uno verso l’altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l’uno lontano dall’altro. La distanza media, che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si trova nella cortesia e nelle buone maniere.
A colui che non mantiene quella distanza, si dice in Inghilterra: keep your distance! − Con essa il bisogno del calore reciproco è soddisfatto in modo incompleto, in compenso però non si soffre delle spine altrui. − Colui, però, che possiede molto calore interno preferisce rinunciare alla società, per non dare né ricevere sensazioni sgradevoli.»
Il concept –
Ad oggi, in questa società, bisogna essere – come – dei porcospini ed è così che si viene educati, così si è integrati, è così che si viene formati ed informati. O meglio, conformati.
Eppure, dalla metafora alla realtà: siamo davvero porcospini piuttosto che esseri umani ormai? In effetti sì, preferiamo una società pungente, persone che si fanno male a vicenda, come unico scopo. Quali sono le conseguenze? Le ferite, il sangue e l’emarginazione, il freddo. Questo, a dispetto della ricerca del calore dei porcospini.
E in quest’epoca di medioevale dubitevole positivismo fondato sulla ricerca del delirio Schopenhauer non poteva che essere l’esempio perfetto da (non) seguire. Nonostante avesse ragione, sia chiaro (e come dargli torto?).
Le tracce:
In realtà, già nella descrizione qui sopra ho già dato cenno alla spiegazione di ciascun brano contenuto nel concept.
Partiamo dal fatto che ho voluto fare un album dall’approccio progressive rock e ne ho provato a dare una sua coerenza, nella prima parte più ‘orecchiabile’, nella seconda – del racconto – con un’impronta a tratti più sperimentale e forse anche più impegnativa (se non noiosa).
Ho qui deciso di usare la voce come strumento musicale di comunicazione nel complesso dell’arrangiamento, a dispetto di altri, molteplici lavori precedenti perlopiù strumentali.
Venivo da un periodo di ascolto di musica post-minimalista, con tanto amore per Max Richter tra gli altri. Qui si può notare un approccio non troppo dissimile seppur diverso: lo definirei “massimalista”, nel tentativo di voler soddisfare il mio horror vacui, sperando di non aver ceduto al farraginoso come è mio solito, provando quindi anche nel racconto recitato e soprattutto con testi comunque ermetici e sintetici quanto amalgamati.
- (1) “When it’s Cold”
La traccia nasce da un breve scritto di dedica ai suicidi e un omaggio al poeta Marino Moretti (“A Cesena”).
In effetti avevo freddo ai piedi e non sapevo come rimediare, quindi ho scritto…:
“Fa’
Freddo
Va’”
Tre versi da guadare, un lascito più che una poesia. È quanto avrebbe scritto un suicida. Ma soprattutto, è quanto si prova quando i porcospini sono troppo lontani. E noi, come sopra, siamo porcospini e fa spesso freddo quando ci allontaniamo ed è sempre inverno per gli esseri umani. E più fa freddo, più ci allontaniamo (“from you”).
- (02) Save me to the Moon
La traccia parte diretta, con ritmo e sonorità anni ’80 in concomitanza con una voce tremante (effetto). Per poi divenire una richiesta di riavvicinamento, come a guardar la luna e chiederle di starti vicina… ma si sa che sulla luna fa freddo. Quindi, salvami al tramonto, quando fa più caldo. O almeno così sembra. Ti chiedo di tornare e di starmi vicino, posso chiedere scusa, posso doverti un favore, ma scaldami!
- (03) “I’m Dead Alive”
Forse la traccia più prog dell’album.
Lo spoken iniziale nasce da una poesia/racconto in italiano poi tradotta.
Parla della routine di ogni routine ed abitudine, di quel “Eterno Ritorno” di ogni giorno, destinato però a cambiare senza che ce ne possiamo accorgere. Ma se succede, guardiamo il “mondo” con occhi differenti: quelli della depressione, o meglio, della morte. A dispetto di Philip Dick, “Io sono morto, voi siete vivi”. Firmato: “A dead man alive” (senza riferimenti di genere o sesso in realtà, ma posso ammettere tratti autobiografici).
- 04 – Toxic Affection
Già pubblicata come singolo questa estate, ma già con l’intento di inserirla nel “Dilemma del Porcospino”. Una collaborazione con una bravissima cantante e attrice londinese che vuole rimanere anonima e così sarà.
Testo e musica scritti in una notte di Gerwurztraminer – e non solo.
Questo è il momento in cui arriva l’illusione del dipinto della verità pendente: quella del calore.
L’illusione di essere vicini abbastanza a qualcuno ma non troppo per farsi male. Ma ci si dimentica del pericolo e… gli aculei sono tossici! E non mi va di affermare che l’amore sia tossico, eppure… finiamo per pensare che lo sia! Bugie, pretese, illusioni. Queste sono le relazioni tossiche. Cosa pensavate, fossero quelle sentimentali? Beh, ne sono un a conseguenza.
Musicalmente la voce (a tratti dialogata con la mia) è accompagnata dall’arrangiamento downtempo à la Royksopp (credo eh) fondamentalmente polifonico piuttosto che lavorato sulle armonie, in ogni caso tendente al soffice ma con brevissimi accenni di aggressività.
(05) Toxic Affection (Reprise)
Beh, ecco, è la ripresa dello stesso brano, la sua fine. La fine della relazione tossica ed un tentativo di sfogo faticosa grida e lamenti di fiato ed una risata isterica. Il tutto, accompagnato da un lineare basso profondo, ma soprattutto da un organo solenne.
06 – “In a Little Place”
La traccia più sperimentale del disco.
Anche qui, un racconto iniziale recitato da una voce che ho reso artificiale ed un omaggio a H.G. Wells (“Morlocks”).
Parla del rapporto tra i concetti di “pre-giudizio” e “giudizio”. Fintanto che vedrò quanto accade davanti ai miei occhi, il pre-giudizio sarà legittimato e soprattutto non definitivo. Sono pronto a cambiarlo? Sì! Mostrami il mondo e qualsiasi cosa che affermerò non sarà un giudizio sentenzioso, ma sarò pronto a cambiare pre-giudizio!
Specifico come questa traccia voglia essere anche un esercizio di stile e di ascolto, da fare rigorosamente in stereo, dove le voci si amalgamano e si sommano, apparentemente ed evidentemente senza senso. Dove suoni che sembrano fuori luogo, con un ascolto più attendo possono sembrare perfettamente adeguati. E non dico belli o giusti, ma adeguati. Se vogliamo, è anche un medley. Ma è difficile spiegarlo senza ascoltarlo. in ogni caso si pone come intermezzo.
07 – “I’m not a Machine?”
La suite dell’album.
Il punto interrogativo è una licenza poetica, più che una domanda è un dubbio.
Lo spoken sono estratti di Elon Musk, che ho scelto per la puntualità delle cose che afferma, per l’argomento trattato (A.I.), e per quello che rappresenta come capitalista a tutti gli effetti. Forse il più grande capitalista al mondo è colui che ne ha una visione più prospettica e completa. Paradossalmente affascinante, no?
Bene, dice tante cose, anche troppe, così ho deciso di aggiungere il cantato al parlato dell’imprenditore sopra sinfonia, così da dare l’impressione di non riuscire più ad ascoltarlo, ché la ragione personale possa prevalere su quella di qualcun altro. Ma non è così. Cerco solo di convincermi di non essere una ‘macchina’, ma me lo sto solo ripetendo. Almeno, so che a farlo sono io!
In realtà è ben più complesso di così, ma buon ascolto.
E sì, avrei preferito “usare” Giorgio Parisi.
08 “The Dopamine Dilemma”
Fondamentalmente il “Finale” della traccia precedente. Un’apertura, esteticamente parlando. Un assolo liberatorio sullo stesso giro armonico della traccia che precede. Un lungo assolo di 5 minuti in tre parti, tendenti sempre più verso il finale ad richiamare libertà, a chiedere primavera. La chitarra è in primo piano ma non è protagonista. A far da principe sono le polifonie degli ottoni in crescendo, le viole sul finale, il suono della chitarra piuttosto che la chitarra stessa. Bending a non finire a chiamare e richiamare scariche e discariche di dopamina.
Il brano svanisce e come bonus track lo strumentale.
Ora, che ho finito di scrivere la descrizione, vado ad accendere il riscaldamento di casa. Poi mi metto la giacca ed esco perché là fuori
Fa’
Freddo
Va’
Silenzio.
[P.S.
Se avete letto fino a qua avete risolto il dilemma del porcospino]